MediaWorld e UniEuro passano ai cinesi: l'elettronica europea cambia volto, Italia a un bivio
L'acquisizione da 2,2 miliardi di euro della holding da parte del colosso cinese non è solo una mossa finanziaria, ma un evento geopolitico. Il governo valuta il Golden Power.
Il gigante cinese dell'e-commerce JD.com ha annunciato un'offerta da 2,2 miliardi di euro per acquisire Ceconomy, la holding tedesca che controlla le insegne MediaWorld, MediaMarkt e Saturn. Questa operazione non rappresenta solo una transazione finanziaria di enorme portata, ma segna l'ingresso più aggressivo di un colosso digitale cinese nel cuore del retail europeo, sollevando immediatamente interrogativi strategici e politici, in particolare per l'Italia.
Un accordo colossale
L'offerta, presentata martedì 30 luglio, valuta Ceconomy 4,60 euro per azione e mira a dare a JD.com il controllo di una delle più vaste reti di vendita di elettronica in Europa: oltre 1.000 negozi, circa 50.000 dipendenti e un fatturato annuo di 22,4 miliardi di euro. L'accordo, il cui completamento è previsto per la prima metà del 2026 dopo il via libera delle autorità antitrust, è stato accolto con favore dai vertici delle due aziende.
Kai-Ulrich Deissner, CEO di Ceconomy, l'ha definito una partnership con "il partner giusto al momento giusto", che darà accesso a "tecnologie e catene di approvvigionamento senza pari". Sandy Xu, CEO di JD.com, ha promesso di applicare le "capacità tecnologiche avanzate" del suo gruppo per accelerare la trasformazione di Ceconomy.
Le rassicurazioni operative sono state immediate: Ceconomy continuerà a operare come entità indipendente, senza modifiche per sedi e forza lavoro. Anche l'agenzia di rating Fitch vede l'operazione di buon occhio, suggerendo che potrebbe rafforzare il profilo di credito dep gruppo europeo grazie alla solidità di quello asiatico.
L'Italia e l'effetto domino
Per l'Italia, le implicazioni sono molteplici. In primo luogo, c'è l'impatto diretto: i 139 punti vendita MediaWorld presenti sul territorio nazionale passeranno sotto il controllo strategico del gigante cinese.
Ma sono i risvolti indiretti quelli più complessi. Ceconomy, infatti, detiene il 23,4% del gruppo francese Fnac Darty, il quale a sua volta ha acquisito la catena italiana Unieuro a fine 2024. Si viene così a creare una catena di controllo che, partendo da Pechino, arriva a esercitare un'influenza rilevante sui due principali attori del mercato italiano dell'elettronica di consumo.
In questo modo, non si parla più di una semplice operazione di mercato, ma dell'affermazione di una presenza strategica: in un solo colpo, JD.com acquisisce negozi e un accesso senza precedenti a dati di mercato, dinamiche di consumo e filiere logistiche di un settore cruciale per la transizione digitale del paese.
La contemporanea influenza su MediaWorld e Unieuro pone un attore non europeo in una posizione di potere inedita e che non può essere ignorata a livello politico.
La mossa di Roma
Inevitabilmente, l'operazione è entrata nel dibattito politico. Il governo guidato da Giorgia Meloni è ora chiamato a valutare l'attivazione del "golden power", che consentirebbe all'esecutivo di bloccare o imporre condizioni a investimenti esteri in settori ritenuti strategici per l'interesse nazionale.
Sebbene le rassicurazioni di JD.com sulla gestione operativa e sulla sicurezza dei dati offrano una certa tranquillità, la natura dell'acquirente e la portata dell'operazione sollevano questioni di sovranità.
La decisione del governo italiano richiederà equilibrio. Da un lato, porre il veto potrebbe essere interpretato come un atto di protezionismo in un mercato che necessita di investimenti e innovazione tecnologica, che JD.com promette di portare. Dall'altro, permettere a un colosso strettamente legato al sistema economico e politico cinese di acquisire una posizione così dominante nel retail italiano rappresenta un rischio strategico, specialmente in un contesto geopolitico che vede una crescente rivalità tecnologica tra Stati Uniti e Cina.
Un campo minato, insomma: alla necessità di tenersi buona anche la Casa Bianca si contrappone quella di non indispettire l'investitore orientale. L'eventuale applicazione di condizioni sulla gestione dei dati e sulla governance, quindi, potrebbe rappresentare una via di mezzo per proteggere gli interessi nazionali senza chiudere completamente la porta agli investimenti.